Fate Frutti Degni di Penitenza

Domenica 10 Febbraio 2013 22:51 fiorini morosini vescovo
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E’ con queste parole del Battista (Mt 3, 8) che ogni anno si annuncia nella Chiesa la Quaresima. Se l’individuazione del posto lungo il fiume Giordano, dove Giovanni predicava e Gesù ha ricevuto il battesimo, è quello che viene mostrato oggiAggiungi un appuntamento per oggi ai pellegrini in Terra Santa, allora si intuisce molto bene la potenza espressiva delle parole di Giovanni e le ripercussioni travolgenti che avevano nell’animo degli ascoltatori.

Il luogo non è pianeggiante, ma scosceso con piccoli rialzi e avvallamenti del terreno sabbioso, arido e senza vegetazione, di un colore bianco che colpisce la vista, con il vento che alza la sabbia e rende ancora più arida l’immagine che si ha nell’insieme.

La gente ascolta il Battista, che grida le parole di Isaia (40, 3-5): Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati (Lc 3, 4-5). E accoglie la sua parola; chiede cosa deve fare e si dispone a ricevere il battesimo.

Quando inizia la sua predicazione, Gesù riparte dal grido di Giovanni ed anche lui si rivolge al popolo: Il tempo è compiuto e il regno dei cieli è vicino; convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1,16). I due testamenti sono uniti dal medesimo invito: convertitevi, fate penitenza.

Quando si parla di quaresima e di penitenza, immediatamente vengono in mente le parole di Gesù: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16, 24). Queste parole evocano immediatamente gli aspetti afflittivi della quaresima e le sue pratiche ascetiche di rinuncia: una sorta, all’apparenza, di rinuncia alla vita. La stessa liturgia del Mercoledì delle Ceneri ci fa leggere un testo biblico, che sembra proporre proprio la dimensione della tristezza e dell’afflizione: Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti… Tra il vestibolo e l'altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore… (Gl 2, 13.17).

Il frutto, poi, richiama la vita: ora quali frutti possono essere ipotizzati dietro una visione della penitenza che sembra, invece, portarci tristezza, proibizioni e dolori?

Proviamo a sviluppare la nostra riflessione sulla scorta dei riferimenti biblici.

Quella che noi, in riferimento a questo contesto evangelico, chiamiamo tristezza, nella Bibbia è chiamata contrizione o compunzione del cuore, ed è un dono dello Spirito che bisogna chiedere a Dio. L’evangelista dice che coloro che assistettero alla crocifissione se ne tornarono percuotendosi il petto (Lc 23, 48). Anche S. Pietro nel discorso del giorno di Pentecoste provoca la contrizione del cuore: All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore (At 2, 37), ed invita al pentimento (At, 2. 38).

S. Paolo parla di una tristezza secondo Dio, che produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza (2 Cor 7, 10). E’ la situazione del credente che si pone davanti a Dio e alla sua legge, si trova colpevole, decide di ravvedersi. Questa tristezza è, perciò, un dono dello Spirito mediante il quale noi prendiamo coscienza di essere nel peccato, e che la somma di tanti peccati creano strutture di peccato che rendono invivibile la vita e creano infelicità per l’uomo.

L’imperfezione si accompagna all’uomo, è la sua condizione dopo il peccato originale. Il primo atto penitenziale è prendere coscienza di tutto questo. E non è facile che oggiAggiungi un appuntamento per oggi la persona possa realizzarlo all’interno di una cultura soggettivistica e relativistica, nella quale vengono negati i valori assoluti e tutto viene lasciato in balia dell’istinto dell’uomo, che giudica delle sue azioni secondo che in esse trova piacere o frustrazione. Bene allora diventa tutto ciò che piace ed è utile, male ciò non piace o non serve.

La proposta di Gesù è quella di farci uscire fuori da questa situazione di dominio del male su di noi, e ci propone la penitenza, cioè la conversione al suo progetto di vita, ai suoi valori: Convertitevi e fate penitenza. Nella sua predicazione egli ci ha posto la sua parola come punto di riferimento per la verità e il bene; anzi lui stesso ha detto di essere la via, la verità, la vita (Gv 14, 6). Ci ha così indicato che esistono verità e valori assoluti, dinanzi ai quali l’uomo deve sottostare.

Qual è la prospettiva della penitenza che Gesù ci propone? E’ quella di costruire la dignità dell’uomo, e di far sì che l’habitat familiare, sociale, politico ed economico dell’uomo possa essere degno di lui, che ha ritrovato la sua dignità nell’accoglienza della parola del Vangelo ed ha conformato ad essa la propria vita. Egli ci dice che è venuto a portarci una vita abbondante (Gv 10, 10) e ci ha promesso il centuplo quaggiù di quanto l’uomo deve sacrificare per seguirlo, e in più la vita eterna (Mr 19, 29). Gli apostoli hanno raccolto le sfida del Signore, che ha chiesto il sacrificio per il regno di Dio, ed hanno parlato di gioia che si gusta nell’essere seguaci di Gesù. Scrive S. Giovanni ai primi cristiani: vi comunichiamo la nostra esperienza di vita con Gesù perché voi possiate essere pieni di gioia con noi (1 Gv 1, 1-4). Si dichiarano felici di poter patire oltraggi per amore di Gesù (At 5, 41).

Operare il passaggio dal peccato al bene non è facile; esso richiede grande sacrificio, perché si tratta di purificare il negativo che è in noi e che convive con il nostro io. E’ chiaro che da questo punto di vista la penitenza è sacrifico, ma un sacrificio che si misura con la vita nella quale esso ci fa approdare, e pertanto non dispiace, non è umiliante e non rende infelice.

Nel nuovo Testamento troviamo due immagini che ci rappresentano lo sforzo dell’uomo che vuole aprirsi alla vita, cioè alla salvezza. Le immagini sono: la donna che partorisce (Gv 16, 20-23) e l’atleta che si allena (1 Cor 9, 24-25). Con la prima immagine Gesù vuole incoraggiare i discepoli ad accettare la sofferenza che deriva dalla scelta della sua sequela, rispetto ad un modo di vivere mondano: In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. Come la donna che sceglie di essere madre sa che deve affrontare il dolore del parto per avere la gioia di abbracciare il figlio, e affronta questo sacrificio avendo davanti agli occhi, e pregustando quasi, la gioia di abbracciare il bimbo; così chi decide di seguire Cristo e la sua parola sa che deve intraprendere un cammino di purificazione che costa sacrifici, ma lo fa con serenità, sapendo che dal suo sacrificio verrà la gioia di una dignità ed equilibrio riacquistati Le sofferenze della gestazione e il travaglio del parto sono il passaggio obbligato per poter abbracciare la nuova vita. La sofferenza della penitenza è il prezzo che si paga per dominare le proprie passioni e raggiungere così il traguardo della dignità di uomo.

Con l’immagine dell’atleta, che accetta il sacrificio dell’allenamento (essere temperante in tutto) in vista del successo e della gloria conseguente alla vittoria, S. Paolo vuol far riferimento al cristiano che ogni giorno deve scegliere se schierarsi dalla parte di Cristo o dalla parte del mondo, dalla parte del bene o del male. Una scelta alle volte anche dolorosa, perché costa sacrificio, ma mai infelice, perché aperta alla vita (la gioia del premio alla fine della corsa).

Giova qui ricordare le parole del Signore, anch’esse provocatorie: Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16, 25). Cosa vuol dire il Signore con questa frase che chiude l’invito a prendere la croce e a seguirlo? La dialettica tra salvare e perdere la vita è collocata nella prospettiva del senso genuino della vita, quello per cui vale pena vivere. Salvare la vita equivale ad accettare la situazione dell’uomo dominato dal peccato (il pensare secondo gli uomini: Mt 16,23); perderla significa metterla in gioco per trasformarla nella prospettiva del bene e della salvezza operata da Gesù (il pensare secondo Dio, che gli chiedeva il sacrificio della croce: Mt 16, 21).

Sia l’immagine della donna partoriente che quella dell’atleta che si allena ci presentano la penitenza come una dimensione che genera vita; entrambe ci spingono a mettere in moto i nostri meccanismi positivi interni per far crescere il bene che sta dentro di noi o che il Vangelo ci propone. In questo senso si parla di frutti che la penitenza produce, e perciò si parla di vita.

L’appuntamento quaresimale non è allora un tempo di pianto sterile e di infelicità esistenziale, ma di giudizio e di scelta di ciò che conviene veramente all’uomo; essa non ha al suo interno un progetto di morte, ma di vita. Il suo approdo non è la croce, ma la risurrezione. La croce è adorata non perché simbolo di morte, ma in quanto prezzo di riscatto e di vita. Lo avevano capito gli orientali che su di essa ponevano gemme preziose. Lo hanno capito alcuni artisti moderni che pongono il risorto proprio sulla croce. Del resto anche Gesù, quando si mostra dopo la risurrezione, appare con i segni della passione (Gv 20, 24-29

Ultimo aggiornamento Domenica 10 Febbraio 2013 23:02