Giuseppe l'Uomo Giusto

Giovedì 02 Maggio 2013 09:35 giuseppe fiorini morosini
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I Vangeli parlano pochissimo di S. Giuseppe. Ma, in quel poco che dicono, mi colpisce un inciso di S. Matteo, che suona così: Giuseppe, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto (Mt 1, 19). Mi viene in mente immediatamente il libro della Genesi quando Dio promette una discendenza numerosa ad Abramo, che, pur lamentandosi perché gli anni passavano senza che detta promessa si compisse, rinnovò sempre la sua fede nella promessa. L’autore del testo commenta così la sua fede: Egli credette al Signore, che glielo accreditò a giustizia (Gen 15, 6). A questa osservazione ha fatto riferimento S. Paolo sia nella lettera ai Romani (4, 3) che in quella ai Galati (3, 6): in entrambi i casi l’Apostolo sottolinea come sia stata la fede a giustificare Abramo dinanzi a Dio. E, secondo il senso delle parole dell’Apostolo, anche la fede di Giuseppe si lega a quella di Abramo: quelli che hanno la fede vengono benedetti insieme ad Abramo che credette (Gal 3, 9).
Nell’Antico Testamento una vita vissuta secondo i dettami della Scrittura è detta appunto giusta. Benedetto XVI, commentando il giudizio evangelico su Giuseppe, fa riferimento sia al Salmo 1, che offre l’immagine classica del giusto, sia a Ger 17, 7, che chiama benedetto colui che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. Giuseppe è uomo giusto perché si fida di Dio e spera in lui. Ecco perché la liturgia, che esprime la fede della Chiesa che medita sui misteri della salvezza e sulla santità dei suoi figli, per aiutarci a capire la figura di S. Giuseppe e per individuare in lui le virtù che tutti noi possiamo imitare, ricorre ad un testo di Paolo (Rm 4, 13-22), che esalta la figura di Abramo, scelto da Dio per la missione di essere padre di molti popoli, in virtù della giustizia che viene dalla fede. Analizzando sinteticamente tutta la sua vicenda nel tempo, da quando cioè Abramo fu scelto ed ebbe la promessa della discendenza sino alla fine dei suoi giorni, l’Apostolo ne esalta in modo sobrio ed incisivo la fede: Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza.Alla luce dell’esperienza di fede di Abramo possiamo valutare gli episodi del Vangelo che parlano di Giuseppe per cogliere in essi la forza di fede che essi ci trasmettono.
Come in Abramo, la vita di S. Giuseppe è straordinariamente bella, perché è una sintesi tra una ordinarietà, che lo tiene ancorato alla comune vicenda umana, ed una straordinarietà, in cui a tratti la presenza di Dio per attuare i suoi piani irrompe in modo non sempre chiaro e incontrovertibile, chiedendo l’abbandono della fede. Quando viene riferito che Maria e Giuseppe vanno a Betlemme per il censimento (Lc 2, 1-5), o quando si osserva che Gesù era sottomesso ai genitori (Lc 2, 51) o che egli era ritenuto come il figlio del carpentiere (Mt 13, 55), che cosa si evidenzia se non la vita semplice e riservata di gente umile e laboriosa, che vive il peso della vita con le sue fatiche, gioie e contrarietà come una qualunque famiglia di Nazaret, vissuta per anni nell’anonimato? In Lc 4, 16 leggiamo che Gesù si recò a Nazaret, dove era stato allevato, senza note di rilievo; e Gesù viene chiamato il figlio di Giuseppe (Lc 4, 22), il figlio, cioè, di un uomo qualunque che non ha note particolari di rilievo, come il padre, perché si possa dire che Gesù al suo paese era ritenuto un personaggio importante. Anzi, i modi come Gesù si presenta e i toni che usa (Lc 4, 16-27) lasciano pensare a prima vista che sia un presuntuoso, uno che si atteggia a persona importante, tanto che i compaesani, da un primitivo consenso, gli si rivoltano poi contro e cercano di gettarlo da un precipizio (Lc 4, 28-29).
Accanto a questa ordinarietà ci sono i segni straordinari della presenza di Dio che in Giuseppe si rivelano attraverso i sogni, durante i quali egli riceve il messaggio di Dio sull’origine divina del concepimento di Maria (Mt 1, 20) e sul fatto che egli agli occhi di tutti dovrà risultare il padre, imponendogli un nome, che rivelerà la sua missione (Mt 1, 21); è sollecitato a fuggire in Egitto (Mt 2, 13) e poi di ritornare in Israele (Mt 2, 19-20) e quindi di stabilirsi in Giudea (Mt 2, 22).
Ciò è illuminante per la qualità della nostra fede. Essa non va cercata come una sorte di garanzia presso di Dio, che la vita scivolerà tranquilla senza difficoltà e problemi. La fede ci inchioda su di una vita che va accolta per come essa è per tutti, credenti e no: piena di gioie e di dolori, di difficoltà e di serenità, di oscurità e di speranza. Su questa condizione comune a tutti gli uomini, che ricorda la condanna dopo il peccato originale (Gn 3, 14-19), la fede proietta la sua luce di speranza, perché ci apre alla fiducia in Dio e alla comunione con lui.
L’uomo giusto è allora l’uomo di fede, che nutre fiducia in Dio, la cui presenza è intravista anche nelle vicende più difficili e dolorose. Nella vita di S. Giuseppe riusciamo a cogliere proprio questa fiducia, che gli permette di accettare situazioni umanamente difficili e in un certo senso incomprensibili, che hanno messo a dura prova la fede nel Dio dei Padri (Es 3, 13), come si esprimevano gli ebrei quando, a garanzia dell’aiuto di Dio, pensavano alle opere grandi compiute da Lui nella storia del popolo. Una fede e fiducia sofferte, combattute nell’intimo dell’animo attraverso l’accavallarsi di domande, di dubbi, di parole rassicuranti, di promesse messianiche. E’ quanto sembra richiamare l’Angelo a Giuseppe quando gli spiega il significato del nome di Gesù: Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1, 21). Giuseppe comprese benissimo che doveva porre la sua vita a servizio della realizzazione della promessa fatta ad Abramo, e in attesa della realizzazione della quale il popolo eletto viveva.
Ma, prima di arrivare a questa comprensione Giuseppe è sottoposto ad una tempesta interiore di dubbi e di incertezze, indicata da S. Matteo quando annota che Giuseppe considerava interiormente il fatto del concepimento di Maria, le sue conseguenze e le possibili decisioni che poteva prendere (Mt 1, 19-20); o quando riferisce che ebbe paura di stabilirsi in Giudea e andò in Galilea (Mt 2, 22). Solo se siamo abituati al confronto di fede con Dio, alla ricerca dei segni della sua presenza in mezzo a noi, si riesce ad accoglierLo nei modi in cui egli decide di rivelarsi a noi. Con Giuseppe, in momenti estremamente decisivi, Dio comunica, come sappiamo, attraverso il sogno; e Giuseppe, abituato ad intrattenersi con il divino, non dubita che il sogno contiene un avvertimento reale. Benedetto XVI ha annotato in merito: Solo ad una persona intimamente attenta al divino, dotata di una peculiare sensibilità per Dio e per le sue vie, il messaggio di Dio può venire incontro in questa maniera.
Ma la fede, quando è adulta e forte, ci rende umili nei confronti di Dio, senza avanzare pretese in contraccambio dei nostri umili servizi o delle piccole o grandi fedeltà che gli dimostriamo.
Giuseppe, quando l’Angelo lo rassicura sull’origine divina della maternità di Maria (Mt 1, 20: quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo) e gli prospetta la missione di svolgere un ruolo importante nel compimento della promessa della salvezza sospirata da tutto Israele (Mt 1, 21: gli porrai nome Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai sui peccati), non pretende da Dio un cammino sicuro ed esente da ogni sacrificio. Si accontenta della sola promessa che il cammino futuro sarà protetto da Dio e approderà in una meta sicura. Perciò la decisione piena di fiducia, ma anche aperta agli imprevisti del percorso di fede: Prese con sé la sua sposa (Mt 1, 24); prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto (Mt 2, 14); prese con sé il bambino e sua madre ed entrò nel paese d’Israele (Mt 2, 20). Nulla gli veniva garantito in quei viaggi. Ma egli decide di compierli con l’unica certezza, come in Abramo, di raggiungere il paese che Dio gli indicava (Gn 12, 1).
La fede non ci dà sicurezza e garanzie umane. Gesù è stato chiaro quando ha collegato sequela e croce: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Lc 9, 23). E quando si è trattato di anticipare agli apostoli i rischi della missione svolta in suo nome, è stato altrettanto chiaro, unendo le difficoltà dell’annuncio alla promessa della protezione divina: Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi (10, 16-20). La sicurezza della protezione divina è l’unica certezza di fede che noi abbiamo, così come l’ha avuta S. Giuseppe; per il resto bisogna camminare con fatica, cercando di intravedere la luce di Dio che ci traccia il sentiero. E questa luce sarà tanto più chiara, quanto più intenso sarà lo sforzo di percepirla.
L’ultima prerogativa della fede di Giuseppe è la pace interiore che l’atto di fede gli dona. Non temere gli dice l’Angelo durante la tempesta del dubbio (Mt 1, 20). La fiducia in Dio lo rende sicuro. Non discute nessun ordine, ma esegue tutto con una grande tranquillità d’animo, anche se eseguire quegli ordini comporta ogni volta affrontare una grande fatica. Ci viene in mente Abramo e la serenità del suo spirito durante la prova del sacrificio di Isacco suo figlio. La risposta data al figlio è un esempio unico più che straordinario dell’abbandono in Dio da parte di chi crede. Isacco chiede: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto? Abramo risponde: Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio! Proseguirono tutt'e due insieme (Gn 22, 7-8). Il commento a questo avvenimento contenuto nella Lettera agli Ebrei è molto profondo: Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo (Eb 11, 17-19).
Abramo e Giuseppe: due esempi di fede e di abbandono in Dio; due grandi protagonisti della storia della salvezza; due padri ai quali si lega una lunga discendenza nella Chiesa, secondo le parole di Paolo, dette a proposito di quella fede che ad Abramo fu accreditata come giustizia: E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione (Rm 4, 23-25).
 
Ultimo aggiornamento Venerdì 07 Giugno 2013 15:20